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L’EVOLUZIONE DELL’IMPRESA RESPONSABILE in 5 atti

Dai pionieri veneziani ai moderni modelli di business sostenibile

C’è un filo rosso che attraversa i secoli e collega persone che non si sono mai incontrate: Giovanni Querini, il nobile veneziano che nel 1869 trasformò il suo patrimonio in un bene pubblico, Adriano Olivetti, l’industriale che immaginò una fabbrica costruita attorno ai bisogni delle persone e le imprese del nostro tempo che scelgono di misurare il successo anche attraverso il valore sociale che generano sul territorio. Questo fil-rouge è riemerso con forza il 3 dicembre 2025, quando la Fondazione Querini Stampalia ha ospitato l’evento L’evoluzione dell’impresa responsabile, un pomeriggio dedicato alle radici e al futuro dell’impresa come attore economico, culturale e sociale, nel luogo dove è vissuto un imprenditore pioniere che oggi chiameremmo visionario: il conte Giovanni Querini.

Il viaggio è iniziato con l’introduzione di Paolo Molesini, Presidente della Fondazione Querini Stampalia, che ha aperto i lavori richiamando la responsabilità dell’impresa verso la comunità. Angela Munari, conservatrice del fondo librario antico, ha riportato alla luce la visione generosa del conte Querini. Sonia Gastaldi ha condotto il pubblico dentro l’umanesimo industriale di Adriano Olivetti, mentre Marco Morganti, presidente di Assobenefit, ha spiegato la nascita e il significato delle Società Benefit.

A loro si è aggiunta la testimonianza di Katia Da Ros, vicepresidente e amministratrice delegata di Irinox S.p.A. Benefit, che ha condiviso la cultura della sua impresa, costruita sulla centralità della persona e sulla sostenibilità come scelta strategica. Il viaggio si è concluso con Massimiliano Braghin, fondatore, presidente e inventore di Infinityhub S.p.A. Benefit, che ha introdotto il modello Quantum Benefit come naturale evoluzione di un’impresa capace di generare valore diffuso, anche grazie allo studio della fisica quantistica. Insieme, questi interventi hanno mostrato come la responsabilità d’impresa non sia un concetto astratto, ma un percorso che intreccia storia, innovazione e futuro, trasformando l’energia imprenditoriale in energia sociale.

Primo Atto – Il visionario veneziano: il Conte Giovanni Querini

Angela Munari apre il primo atto invitandoci a guardare Giovanni Querini come una figura  sorprendentemente vicina al nostro presente. Ci legge le sue parole — “Ho un animo aperto, e senza caverne… non bramo che lo studio e la quiete” — e da subito emerge un profilo diverso da quello del nobile ottocentesco: uno studioso curioso, sobrio, capace di amministrare il proprio patrimonio con rigore e lungimiranza. Querini modernizza filande, introduce macchinari innovativi, valorizza la manodopera femminile e porta i filati veneti alle esposizioni internazionali. Un imprenditore che, prima ancora che produzioni o profitti, coltiva la responsabilità sociale.

Angela Munari introduce poi l’aspetto più affascinante del conte: la sua vocazione scientifica. Querini allestisce un laboratorio nel palazzo, compie nel 1852 il primo esperimento di illuminazione elettrica pubblica a Venezia e acquista strumenti all’avanguardia “per mostrare agli studiosi lo stato attuale delle scienze”, come scrive in una lettera, mosso dal desiderio “di essere utile ai concittadini”. Non era un collezionista, sottolinea Angela Munari, ma un facilitatore: trasformava la conoscenza in un bene da condividere.

Ed è proprio questo spirito del dono a guidare il gesto più importante della sua vita. Angela Munari racconta il momento in cui, nel 1868, Querini decide di “statuire erede d’ogni sua sostanza una fondazione scientifica”, destinando biblioteca, collezioni e spazi di studio all’uso pubblico, con l’obbligo di aprirli quando le altre biblioteche sono chiuse, per favorire studiosi e cittadini. Un lascito che non nasce da un’idea radicale di bene comune. Così, con la nascita della Fondazione Querini Stampalia nel 1869, il dono diventa istituzione: un luogo in cui la cultura continua a circolare come energia condivisa, esattamente come Querini aveva immaginato.

Secondo Atto – L’industriale umanista: Adriano Olivetti

Sonia Gastaldi introduce Adriano Olivetti con un tono che mescola ammirazione, intimità e delicatezza, quasi accompagnandoci dentro la mente di un uomo che ha reinventato il significato stesso di impresa. Parte da una frase che racchiude l’essenza della sua visione — La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia — per mostrarci come Olivetti abbia posto al centro non il capitale, ma la persona. Sonia Gastaldi descrive Olivetti come un imprenditore che vedeva l’impresa come un organismo vivente, un luogo capace di generare benessere e di assumersi responsabilità verso la comunità. Un’idea rivoluzionaria allora, ma sorprendentemente attuale oggi.

Da qui Sonia Gastaldi ci conduce dentro l’innovazione olivettiana, fatta di scelte concrete: quartieri residenziali, biblioteche, teatri, servizi socio-sanitari, asili nido, scuole di formazione e un modello organizzativo flessibile, aperto al dialogo tra discipline. Olivetti investe nella tecnologia non per aumentare la produttività, ma per liberare tempo e migliorare la qualità della vita. Le sue invenzioni — dalla Lettera 22 al primo computer elettronico italiano — sono strumenti al servizio dell’uomo, e non il contrario. E mentre Ivrea diventa un laboratorio sociale, riconosciuto oggi come patrimonio UNESCO, prende forma un’idea di valore che integra capitale umano, sociale e culturale, anticipando l’approccio delle moderne imprese responsabili.

Il momento più intenso arriva quando Sonia Gastaldi mostra un breve video d’epoca: Olivetti, intervistato, accompagna il suo intervistatore nelle biblioteche aziendali. La sua voce è timida, lo sguardo attento, traspare con chiarezza la profondità della sua visione sociale. È l’immagine di un imprenditore che osserva l’uomo prima del lavoratore, convinto che un’impresa debba contribuire alla crescita civile della comunità.

Terzo Atto – Impresa Benefit e identità: Irinox S.p.A.

Katia Da Ros prende il microfono e, con precisione e decisione, racconta che per Irinox la mission va oltre la produzione: è prendersi cura. Parla di un’azienda che negli anni ha scelto di porre le persone al centro, che dal 2022 ha adottato lo status di Società Benefit per trasformare la propria missione in impegno concreto, trasparente e duraturo. Da quella scelta formalizzata nasce una promessa: non solo eccellenza tecnica, ma un progetto di valore che include collettività, ambiente, comunità e qualità della vita di chi lavora in questa impresa.

Poi Katia Da Ros descrive come questa promessa diventi prassi — con un sistema di welfare integrato pensato per bilanciare lavoro e vita, supportare le famiglie e valorizzare ogni collaboratore. Irinox ha realizzato “Il Giardino dei Colori”, un asilo aziendale per i figli dei dipendenti da 3 mesi a 6 anni, contribuendo agli oneri e garantendo orari flessibili: un segno di supporto concreto nei confronti di chi lavora e delle loro famiglie. In parallelo, l’azienda ha implementato un programma di sicurezza sul lavoro — “Forti, Sicuri, Insieme” — e ha attivato uno sportello di ascolto psicologico interno, per tutelare il benessere mentale e sociale.

Infine, Katia Da Ros sottolinea i valori che guidano Irinox: intraprendenza, sviluppo, armonia, appartenenza — pilastri che determinano ogni decisione, ogni investimento, ogni passo verso il futuro. In questa visione, Irinox non è solo una fabbrica o un marchio: è un ecosistema di persone, tecnologie e comunità, dove sostenibilità, innovazione e cura del capitale umano si intrecciano.

Quarto Atto – Impresa Benefit: la codificazione moderna

Marco Morganti apre il suo intervento ricordando gli anni alla guida di Banca Prossima, la prima banca al mondo dedicata esclusivamente all’economia sociale. Racconta di come abbia pensato di rivedere le convenzioni aziendali tradizionali, sostituendo le tradizionali riunioni con plenarie ispirate ai congressi di partito, dove ogni persona poteva proporre e votare tesi in piena libertà. Da questo esperimento nasce il codice di missione della banca, redatto non da consulenti ma dai collaboratori, dopo un percorso di ascolto in tutte le filiali. Una delle frasi centrali — “Tra l’interesse del cliente e quello della banca, scegliamo sempre l’interesse del cliente” — diventa la sintesi del loro modo di operare.

Questa logica guida anche la scelta di destinare metà degli utili a un fondo patrimoniale pensato per garantire l’accesso al credito alle organizzazioni non profit prive di garanzie tradizionali. È un cambiamento radicale rispetto al merito creditizio classico: come un insegnante che si concentra sugli studenti più fragili, la banca puntava a includere i “primi esclusi” dal sistema.

È in questo passaggio che Morganti riconosce come Banca Prossima fosse, di fatto, “una benefit senza saperlo”: un’impresa for profit con uno scopo di beneficio integrato nella propria attività principale.

Da qui il collegamento alla normativa italiana sulle Società Benefit, oggi al centro del suo impegno come Presidente di Assobenefit. Una legge considerata a livello internazionale tra le più avanzate, perché rende espliciti, misurabili e vincolanti gli obiettivi di beneficio comune all’interno dell’attività d’impresa. Morganti immagina un futuro in cui le aziende di un territorio scelgono scopi complementari e collaborano con la comunità, dando vita a veri “distretti benefit” capaci di generare valore sociale di lungo periodo. Una forma di democrazia economica parallela che, conclude, “oggi ha finalmente le regole per diventare realtà”.

Quinto Atto – Infinityhub e il modello Y: essere Quantum Benefit

Massimiliano Braghin apre il suo intervento richiamando il filo che unisce tutte le testimonianze ascoltate: Querini, Olivetti, Irinox. «La parola che non abbiamo detto ma che attraversa tutto è evoluzione», afferma.

Entrare in Querini e leggere “Qui vive il conte Giovanni Querini” gli dà la misura di come le visioni imprenditoriali continuino ad agire anche dopo chi le ha generate, stimolando chi viene dopo a raccoglierne l’eredità. L’evoluzione, aggiunge, non riguarda solo la tecnologia o i modelli di business, ma le persone che incontrano un’impresa, i clienti, i collaboratori, chi entra in relazione con un’idea e ne viene trasformato.

Da qui Massimiliano Braghin racconta la nascita di Infinityhub, prima immaginata per quindici anni e poi fondata nel 2016 non come “oggetto”, ma come sistema di valori. L’azienda diventa Società Benefit, pubblica un’analisi d’impatto ESG e costruisce un modello che vive di continua trasformazione. Il meccanismo è semplice: riqualificare edifici attraverso società di scopo, integrando investimenti tecnici con una raccolta diffusa tramite equity crowdfunding. Oggi oltre 2.200 cittadini hanno partecipato ai progetti di Infinityhub, creando connessioni inattese — come l’incontro con il nipote di un dipendente Olivetti che ha portato l’azienda a lavorare sulle storiche fabbriche di Ivrea. Massimiliano Braghin parla di sincronicità: coincidenze che nascono quando l’impresa diventa un campo che attira relazioni, idee e opportunità.

Sottolinea Massimiliano Braghin: «È in questo orizzonte che prende forma il modello Y, definito come “un campo di forze”, più che un modello tecnico o un business. Ogni progetto Y è una soglia — un ponte — che mostra come l’energia non sia solo un impianto o un kilowatt, ma un linguaggio che unisce istituzioni, imprese, banche e cittadini in un percorso di co-creazione del bene comune. Infinityhub non è un’impresa che installa tecnologie, ma un portale evolutivo che usa l’energia per far crescere comunità e consapevolezze. E conclude ricordando che l’evoluzione è continua: ogni progetto aggiunge un tassello nuovo, ogni relazione orienta la traiettoria».

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