In un momento storico in cui il rapporto tra essere umano, tecnologia e AI sta ridefinendo identità, relazioni e scelte collettive, il Digital Security Festival diventa un luogo in cui tornare a interrogarsi su ciò che davvero conta: la consapevolezza, la cultura e la centralità della persona.
L’essere umano torna al centro
C’è un momento, durante l’evento finale del Digital Security Festival 2025, in cui tutto si allinea: le luci antiche del Palazzo del Bo, gli affreschi, le parole dei relatori, la domanda che ha guidato l’intera settima edizione. Una domanda semplice, vertiginosa, difficile: Quale futuro per l’umanità?
È giovedì 20 novembre 2025 a Padova, e l’Archivio Antico dell’Università avvolge la giornata con il peso dei suoi otto secoli di storia. Lì dove Galileo insegnava, si torna a parlare di conoscenza. Non la conoscenza tecnica – fatta di algoritmi, infrastrutture e sistemi – ma quella più antica, profonda, fragile: la conoscenza dell’essere umano.
Infinityhub sostiene il Digital Security Festival per promuovere percorsi culturali che mettono al centro le persone, prima della tecnologia. Ed è significativo che una componente del consiglio di amministrazione d Infinityhub sia presente nel Direttivo del festival. È Sonia Gastaldi, sociologa informatica che, proprio durante questa tappa, ha portato un intervento chiave sul tema della forza algoritmica e la conseguente responsabilità algoritmica.
Quando i dati diventano specchi dell’esistenza
Il presidente del Festival, Marco Cozzi, lo ricorda con forza: i dati non sono flussi neutrali, ma la sostanza della trasformazione digitale. Parlano di noi, dei nostri comportamenti, delle scelte che compiamo. Interrogarsi sull’universo dei dati significa interrogarsi sull’essere umano.
Il professor Mauro Conti ha aperto i lavori con un keynote che rovescia la prospettiva: non è la tecnologia il pericolo, ma l’uso che la parte più fragile dell’uomo può farne. I robot non sbagliano, gli algoritmi eseguono: siamo noi, con le nostre vulnerabilità, a rendere il sistema fragile. Mauro Conti ha portato esempi reali – deepfake, attacchi alle IA, shadowban, intelligenze artificiali che imparano la tossicità degli utenti – che mostrano come la sicurezza sia prima di tutto una questione di consapevolezza.
Idiocrazia digitale: il prezzo di delegare
Tra i temi più forti introdotti da Ettore Guarnaccia c’è quello dell’idiocrazia digitale, la tendenza – già visibile – a delegare alle macchine porzioni sempre più ampie del nostro pensiero. Non è l’intelligenza artificiale a rappresentare il vero rischio, sottolinea Ettore Guarnaccia, ma la scelta silenziosa di smettere di esercitare il giudizio: lasciamo che siano gli algoritmi a decidere cosa credere, cosa vedere, cosa leggere, riducendo nel tempo memoria, spirito critico e capacità di discernere.
Questa delega cognitiva crea una vulnerabilità nuova: siamo costantemente connessi, potenzialmente più informati, ma non per forza più consapevoli. L’automatismo ci porta verso una forma di conformità che ci rende più esposti a manipolazioni, bias e distorsioni. L’idiocrazia digitale non è ignoranza, ma perdita di intenzionalità: un cedimento progressivo dell’autonomia mentale che indebolisce proprio l’elemento umano che dovrebbe guidare la trasformazione digitale.
È proprio in questo equilibrio fragile tra essere umano, tecnologia e AI che l’idiocrazia digitale trova terreno fertile, trasformando la comodità dell’automazione in una possibile rinuncia al pensiero critico.
Per questo Ettore Guarnaccia invita a tornare a ciò che ci definisce: il pensiero critico, la capacità di fare domande, l’attenzione vigile che non si lascia sostituire dalla comodità delle risposte automatiche. La tecnologia può amplificare l’essere umano, ma solo se la mente resta accesa, consapevole e capace di scegliere.
Sicurezza e psicologia: ciò che ci rende umani, ciò che ci espone
L’intervento “SPICY – Sicurezza e Psicologia” di Luca Sartori e Marta Caserotti porta l’attenzione su un punto decisivo: non rischiamo a causa della tecnologia, ma a causa del modo in cui funzioniamo. La percezione del rischio, infatti, non nasce dalla logica ma dai meccanismi emotivi che guidano gran parte delle nostre decisioni quotidiane. Bias cognitivi, tecnostress e sovraccarico informativo alimentano una vulnerabilità che è profondamente umana.
Siamo governati da due sistemi mentali: uno veloce e intuitivo, l’altro più lento e razionale. E quasi sempre, soprattutto nel digitale, è il primo a prendere il sopravvento. Ecco perché parlare di sicurezza significa parlare di autoconsapevolezza: conoscere come pensiamo e come reagiamo è il primo passo per proteggerci in un ambiente complesso e iperstimolato.
Molto interessante l’intervento “Essere umani nel digitale: benessere, sicurezza e sostenibilità delle professioni tech” di Paloma Donadi.
Considera il benessere di chi la tecnologia la progetta è fondamentale perché, come ben sappiamo, la tecnologia è un artefatto umano e non può prescindere dallo stato psicofisico di chi la crea.
Di fatto, oggi più che mai, la tecnologia ha bisogno di un approccio interdisciplinare, di discipline che cooperano tra di loro.
Portali di coscienza: la responsabilità algoritmica secondo Sonia Gastaldi
L’intervento di Sonia Gastaldi, sociologa informatica e membro del CdA Infinityhub, è uno dei momenti più visionari della giornata. Sonia Gastaldi introduce l’immagine dei portali di coscienza per raccontare come l’intelligenza artificiale sia un varco attraverso cui transitano valori, priorità, scelte culturali. Gli algoritmi non sono neutri: organizzano ciò che vediamo, filtrano ciò che ignoriamo, influenzano identità e comportamenti.
Comprendere come questo rapporto tra essere umano, tecnologia e AI modelli decisioni e percezioni significa riconoscere che ogni algoritmo è, di fatto, un attore culturale. E proprio attraverso una viaggio culturale tra la Divina Commedia, il film Interstellar e il motto dei Mandaloriani, abbiamo riconosciuta la forza della cultura.
Perché la cybersecurity – spiega – non può essere trattata solo come un tema tecnico: è profondamente culturale. È sia prodotto sia produttrice di cultura: nasce da un certo modo di concepire il sapere e, allo stesso tempo, modifica i nostri linguaggi e rituali digitali. Educare alla sicurezza significa allora, letteralmente, “portare fuori”: condurre le persone oltre la complessità emotiva e cognitiva che rende vulnerabili nel digitale.
Sonia Gastaldi invita a una visione sistemica in cui la sicurezza diventa una capability strategica, integrata fin dalla progettazione dei sistemi. Una sicurezza non solo “by design”, ma soprattutto “with awareness”. Perché in un mondo in cui la tecnologia impara da noi, la responsabilità è prima di tutto umana: coltivare una cultura digitale consapevole, capace di attraversare quei portali con lucidità e valori chiari — gli stessi valori che guidano Infinityhub nella sua visione di innovazione sostenibile e centrata sulle persone.
Ripensare il futuro: un equilibrio tra essere umano, tecnologia e AI
“Io amo la tecnologia, ma amo infinitamente di più l’essere umano.”
Con queste parole, Marco Cozzi chiude l’evento.
E il Palazzo del Bo restituisce l’eco di un pensiero antico e sempre attuale: l’innovazione non è mai davvero tale se non porta l’uomo a vedere più lontano, a comprendere meglio, a essere più libero.
La sfida dell’Universo Dato è questa: non lasciare che siano i numeri a decidere chi siamo, ma usare la tecnologia per ampliare – e non sostituire – la nostra umanità.
Per uscire fuori a riveder le stelle, come ci ricorda il sommo poeta Dante e il nostro Presidente Massimiliano Braghin.
Un ringraziamento al Direttivo del Digital Security Festival
Dietro un evento così ricco non ci sono solo le voci sul palco, ma anche le persone che hanno lavorato per mesi per costruirlo, passo dopo passo. Oltre ai relatori citati, un grazie va al Direttivo del Digital Security Festival – Marco Cozzi, Gabriele Geza Gobbo, Luigi Gregori, Davide Bazzan e naturalmente Sonia Gastaldi – per l’energia, la dedizione e la cura con cui hanno dato forma a questa settima edizione.
👉 Per Infinityhub l’essere umano diventa attore principale anche nell’evoluzione dell’impresa, ne abbiamo parlato in un articolo nel nostro blog: Perché l’impresa sceglie il bene comune – le radici, le storie e il futuro delle Società Benefit



